La Chiesa
La Chiesa di San Jacopo e San Filippo, risalente al XII secolo, ha un'importante storia legata a funzioni religiose e civiche di Certaldo. Ha subito modifiche architettoniche e restauri che ne hanno recuperato l'aspetto medievale. All'interno si trovano opere rilevanti, come il Crocifisso di Petrognano e affreschi di Memmo di Filippuccio. Il monumento funebre di Giovanni Boccaccio e l’altare della Beata Giulia testimoniano l'importanza storica e artistica della chiesa.
Sede di cerimonie civiche e religiose fin dal XII secolo
Origini della Chiesa
La chiesa, già esistente nel XII secolo, era in origine intitolata a san Michele arcangelo e san Jacopo ed era sede delle riunioni per eleggere i procuratori della Comunità nonché, dal 1415, delle cerimonie per l’insediamento del nuovo vicario. Ad essa erano legati uno spedale destinato all’accoglienza dei viandanti e dei bisognosi, ancora attivo nel 1394, e il cimitero adiacente all’edificio.
Suffraganea della pieve di San Lazzaro a Lucardo sotto il patronato dei Gianfigliazzi, grazie alla mediazione della famiglia Giandonati di Certaldo, con una bolla papale del 1408 la chiesa ed il suo arredo furono consegnati ad un nucleo di monaci legato al convento di Santo Spirito di Firenze, agostiniani rimasti fino alla soppressione degli ordini religiosi sancita nel 1783 con Motu Proprio del Granduca Pietro Leopoldo, che decretò la consegna della chiesa all’Arcidiocesi di Firenze, la quale, con decreto arcivescovile dell’11 agosto 1854, la riunì alla parrocchia di San Tommaso.
Caratteristiche architettoniche e interventi di recupero
Architettura e restauri
All’esterno la chiesa presenta una semplice facciata a capanna, affiancata dal campanile, a pianta quadrata con cella provvista di quattro fornici con altrettante campane, terminante cuspide ricostruita durante i lavori del Novecento per restituirgli la forma originale, simile a quella che compare nel dipinto La Beata Giulia in preghiera di fronte al Crocifisso, posto in chiesa sull’altare dedicato alla beata certaldese.
L’aspetto spoglio dell’interno della chiesa, a navata unica con soffitto a capriate e mattoni a vista, è frutto del restauro architettonico avviato nel 1963 dalla Soprintendenza ai monumenti fiorentina che, nel segno del recupero del presunto originario aspetto medievale dell’edificio, secondo la metodica di restauro del tempo, fece rimuovere gli altari eretti fra XVI e XVIII secolo, rimuovere l’intonaco con la decorazione neogotica, scialbare l’affresco absidale attribuito dalle fonti a Galileo Chini, ripristinare le porte originarie e l’infilata di monofore.
Patrimonio artistico e memoria storica
Arte e testimonianze
All’interno della chiesa si conservano delle opere d’arte di rilevante interesse, preziose testimonianze del connubio fra fede e politica nelle vicende storiche di Certaldo. Nel catino absidale si erge in tutta la sua solennità il duecentesco Crocifisso di Petrognano, opera di cui si parlerà nella scheda dedicata. Lungo la navata di sinistra, lateralmente la controfacciata d’ingresso, entro una nicchia resta il pregevole affresco rappresentante la Madonna tra i santi Jacopo e Pietro, con inginocchiata la committente mai identificata ma che, nel tempo, è stata creduta a torto santa Verdiana. L’opera – scoperta nel 1861 e restaurata nel 1995 – è la più antica testimonianza pittorica della chiesa, forse il coronamento di un altare o di un sepolcro, ed è stata attribuita al senese Memmo di Filippuccio (1250 ca. – 1325 ca.), pittore civico a San Gimignano e suocero di Simone Martini. La costruzione spaziale e il risalto plastico delle figure riflettono ancora quanto il pittore apprese da Giotto nel grande cantiere della Basilica superiore di Assisi, secondo Roberto Longhi (1948) autore delle mezze figure di santi e profeti ritratti nelle fasce decorative delle Storie bibliche e collaboratore della stesura dei primi riquadri delle Storie francescane.
Sulla stessa parete si trova il monumento sepolcrale di Giovanni Boccaccio corredato del busto del poeta, commissionato nel 1503 dal vicario Lattanzio di Francesco Tedaldi a Giovan Francesco Rustici, poeta qui sepolto nel 1375 e traslato nel cimitero antistante al convento a seguito del decreto lorenese che proibiva le sepolture in chiesa. Sotto il busto vi è l’epigrafe in marmo con dedica dettata da Coluccio Salutati. L’esatta collocazione della sepoltura di Boccaccio è indicata da una mattonella di marmo posta sul pavimento, accanto alla lastra tombale scolpita in stile neo-medievale nel 1952 da Mario Moschi, con le armi della famiglia Boccaccio e del comune di Certaldo. L’effige del poeta a bassorilievo prende spunto dal ritratto del poeta affrescato da Andrea del Castagno nel ciclo della serie degli Uomini Illustri di Villa Carducci a Legnaia (Firenze), trasferito dopo lo stacco nella Galleria degli Uffizi.
Su questa parete si accedeva alla Cappella dedicata alla Beata Giulia, aperta durante i lavori degli ‘80 dell’Ottocento e poi demolita negli anni ‘60 del Novecento per ripristinare le forme gotiche della chiesa e recuperare il chiostro, totalmente occupato dal vano. Fortunatamente si è conservato l’interno arredo, con il suo maestoso altare in legno e la sua pala d’altare, le sedute, i candelabri e le sculture lignee, tutti arredi oggi suddivisi fra museo, deposito del convento e Chiesa di san Tommaso apostolo.
Giovan Francesco Rustici, Monumento sepolcrale (a sinistra) e busto (a destra) di Giovanni Boccaccio
Tabernacoli in terracotta e l'altare di Beata Giulia
Tabernacoli e altari
Nelle pareti a lati dell’abside sono due tabernacoli in terracotta invetriata: a sinistra quello donato nel 1499-1500 dal vicario di Certaldo Ludovico di Benintendi Pucci, attribuito a Benedetto Buglioni, mentre sulla destra è quello ascrivibile alla bottega di Andrea della Robbia, donato nel 1502-1503 dal vicario di Certaldo, Ristoro d’Antonio Serristori. Al 1572 risale poi il fonte battesimale marmoreo, impiegato invece come acquasantiera a seguito del divieto di battesimo promulgato nel 1632-33 dall’arcidiocesi fiorentina per sedare i conflitti fra gli agostiniani e la famiglia dei Gianfigliazzi.
Lungo la navata destra è l’altare dedicato alla Beata Giulia, documentato dal 1372 e rinnovato nel 1633 in segno di ringraziamento per la scampata peste, occasione per rivestire i resti della giovane terziaria con un sontuoso abito, ora esposto nella cella, e ricongiungere allo scheletro il cranio trafugato dalle truppe aragonesi durante il saccheggio di Certaldo del 1479 e restituito sette anni più tardi da Ferdinando di Aragona grazie alla missione diplomatica di Giovanni Lanfredini, ambasciatore fiorentino a Napoli.
Tabernacolo in terracotta invetriata attribuito a Benedetto Buglioni (a sinistra), tabernacolo in terracotta invetriata attribuito alla bottega di Andrea Della Robbia (a destra)
La perdita del dossale cuspidato eseguito appositamente per il nuovo altare, forse commissionato da Agnolo di Pierozzo Giandonati, priore della canonica dei Santi Michele e Jacopo, amico di Boccaccio e principale promotore del culto di Giulia, ci priva dell’unica testimonianza del vero ritratto della Beata in abito delle mantellate agostiniane, affiancata da due scomparti laterali dove sono illustrate le scene della sua morte davanti al Crocifisso e delle sue esequie, narrazione giunta fino a noi grazie ad un disegno acquerellato (Archivio di Stato di Firenze), eseguito nel Seicento quando la tavola si trovava in sagrestia.
Forse a corredo di quel dossale fu realizzata un secolo dopo la predella ora sulla mensa dell’altare, raffigurante il Miracolo del bambino salvato dalle fiamme, il Miracolo dei fiori freschi, donati dalla Beata ai fanciulli che andavano a trovarla nella sua cella, le Esequie della Beata seguite da monaci agostiniani e, infine, il Miracolo del cavaliere, salvato insieme al suo cavallo dall’annegamento sempre per intercessione della Beata.
Su questa predella è presente l’arme di una famiglia, un tempo creduta dei Tinolfi e ora accertata essere dei Baldovinetti, proprietari del castello di Lucardo prima che esso passasse ai Macchiavelli, forse commissionata nel 1486 in segno di gratitudine per la restituzione della testa della beata.
Attribuita secondo la tradizione alla monaca cistercense Antonia Doni, forse figlia di Paolo Uccello, la predella è stata restituita da Alessandro Bagnoli alla mano di Giovanni di ser Giovanni Guidi detto lo Scheggia (1406-1486), fratello di Masaccio e rinomato legnaiolo, con una datazione prossima agli ultimi anni della sua attività.
Sull’altare è una tela raffigurante La Beata Giulia in preghiera di fronte al Crocifisso, dopo il restauro attribuito dal Bagnoli (2016) al pittore senese Tiberio Billò. Si tratta di una narrazione per immagine del miracolo avvenuto il 9 gennaio del 1367, quando le campane della chiesa cominciarono a suonare per annunciare la morte della beata e il popolo, accorso nella sua cella, la trovò ormai esanime, col volto cianotico, in preghiera davanti un vaso di freschi fiori e al Crocifisso, identificato con quello un tempo nella Chiesa dei santi Tommaso e Prospero e attualmente nella Chiesa di san Tommaso Apostolo.
In origine le due assi della tavola formavano le ante di un armadio porta reliquie appeso sopra l’altare della cappella della Beata Giulia, dove erano esposti alla venerazione il velo, le ossa e uno scrigno d’argento con la testa, riconvertito in pala d’altare a seguito del rinnovamento della cappella patrocinato nel 1581 da padre Ranuccio della Rena, quando le ossa furono ricomposte e custodite nell’urna, ora nella cella della Beata, collocata nel vano sotto la mensa dell’altare.
Ritrovamenti artistici e opere scomparse
Opere perdute e opere ritrovate
Oltre alla perdita del dossale della Beata Giulia, degli altari, dei sepolcri e delle tombe terragne, dalla chiesa sono stati sottratti in epoca ignota opere d’arte di inestimabile valore storico artistico. Fra quelli perduti si ricordano i due dossali commissionati nel 1366 da Giovanni Boccaccio, uno con il Redentore al centro e ai lati i santi Giovanni Battista e Marco Evangelista con il donatore, l’altra con la Madonna col Bambino e ai lati i santi Miniato e Caterina con la bella e delicata Violante figlia di Boccaccio. Sono state invece rintracciate le due tavole ricordate da Neri di Bicci nelle sue “Ricordanze”, cronaca di bottega redatta dall’artista fra il 1453 e il 1475: la prima è una Madonna con i santi Jacopo e Andrea, ora nei depositi del Petit Palais di Avignone, iniziata il 4 marzo del 1462 per Bastiano d’Andrea da Certaldo; l’altra, uguale per forma e misure alla precedente, fu iniziata dall’artista il 18 agosto del 1463 per Piero di Antonio Lippi e raffigura l’Incoronazione della Vergine con i santi Antonio Abate, Agostino, l’Arcangelo Raffaello con Tobiolo e due angeli musicanti accanto al committente, dove lo spazio è occupato da un grande cerchio di luce dai raggi lineari entro il quale è accolto il gruppo principale, schema compositivo già adottato dall’artista nella versione per il Convento di San Salvi ultimata il 22 dicembre 1460 e ripetuta in anni successive nelle tavole della Pinacoteca del Monastero de La Verna, del Museo dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze e della Chiesa di san Giovannino dei Cavalieri a Firenze, ora alla Walters Art Gallery di Baltimora.
Presumibilmente distrutta dalle bombe cadute sul Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino nel 1945, è la tavola raffigurante Cristo crocifisso tra i santi Antonio Abate, Lorenzo, Pietro Martire e l’Arcangelo Raffaele Arcangelo con Tobiolo, commissionata nel 1475 a Francesco Botticini da Beltrame de’ Rossi per l’altare della cappella di famiglia in chiesa, come ricorda anche la scritta originale che si legge sulle foto d’archivio:
QUESTA TAVOLA S’ E’ FATTA FARE PER LORENTIO D’UGOLINO DE’ ROSSI – LA QUALE A FATTA FARE BELTRAME DI STOLDO DE’ ROSSI.
A Certaldo i De’ Rossi avevano molto poderi con casolari e una residenza stabile entro le mura castellane, abbandonata da Beltrame nel 1480, anno in cui decise di trasferirsi stabilmente a Firenze, a seguito dell’incendio che distrusse la sua casa causando la morte del fratello Lippo. La famiglia inoltre aveva sin dal Trecento una cappella di famiglia anche nella basilica di Santo Spirito a Firenze, per la quale Botticini, allievo e collaboratore di Neri di Bicci, aveva già dipinto due pannelli con la Vergine plorante e sant’Agostino, trasferiti nella Galleria dell’Accademia di Firenze all’epoca delle soppressioni unitarie.